Il bianco e il nero. Due colori/non colori speciali, opposti e complementari, che conservano il loro mistero pur nella dialettica simbolica con cui dialogano e si scontrano. Sabato 8 aprile, alle ore 19, presso il polo museale di Villa Arbusto a Lacco Ameno, l’apertura della stagione espositiva 2023 con il vernissage per la mostra “Gino Di Meglio. Nel bianco nel nero”.
Il primo grande appuntamento culturale dell’anno, fissato in prossimità delle festività pasquali, sarà dedicato alla produzione più recente del fotografo ischitano, presente all’inaugurazione, con cinquanta immagini inedite in esposizione nelle sale di Villa Gingerò.
La mostra, organizzata dal Comune di Lacco Ameno e curata da Massimo Ielasi con il Circolo Georges Sadoul di Ischia, resterà aperta al pubblico fino al prossimo 7 maggio.
Un omaggio a un artista isolano che approda all’essenzialità (quasi) monocromatica del bianco e del nero dopo un lungo percorso creativo che è principalmente un pensiero di ricerca. Uno studio incessante sulle alchimie tra luce e materia, paesaggio reale della fotografia e astrazione immaginaria dell’autore.
«Sono anzitutto molto orgoglioso di poter esporre i miei ultimi lavori presso Villa Arbusto, sito di particolare prestigio storico e culturale”, ha dichiarato il fotografo Gino Di Meglio. “La mostra nasce dall’idea di rappresentare due diversi stati d’animo, parti complementari e interconnesse dell’universo e delle nostre vite: nel bianco, l’apertura alla grazia, alla letizia, alla pace dell’anima; nel nero, vince l’inquietudine, il mistero dell’esistenza e della condizione umana. Un dualismo mai così netto: a volte prevale l’uno, a volte l’altro».
L’esposizione a Villa Gingerò è divisa in due sezioni: nella prima, le fotografie in cui domina il bianco, sintesi additiva di tutti i colori; nella seconda si impone il nero, sintesi sottrattiva assoluta. Una simmetria anche numericamente equilibrata (25 immagini digitali di medio formato per ognuna) che vibra di mille sfumature, cromatiche ed espressive, grazie alla sensibilità e alla maestria tecnica con cui l’autore padroneggia gli scatti.
“La sfida più grande – aggiunge Di Meglio – è stata quella di mantenere un assoluto rigore stilistico. La fotografia è un esercizio di sottrazione, togliere per arrivare all’essenziale. Qui, al contrario della mia produzione precedente, dove cercavo di mettere insieme più oggetti e armonizzarli, ha prevalso invece una ricerca assoluta della pulizia estetica dell’immagine. Restituire i dettagli con la maggior precisione possibile. Come delle finestre sul reale filtrate chiaramente dalla mia sensibilità».
Per Carla Tufano, vicesindaco di Lacco Amenoe assessore con delega alla Cultura, Turismo, Villa Arbusto e Pianificazione «questo è un momento di ripartenza della stagione turistica decisivo per tutta l’isola d’Ischia, in cui ogni sforzo dell’amministrazione è teso a costruire quotidianamente nuove opportunità di sviluppo economico e sociale. Il polo museale di Villa Arbusto a Lacco Ameno si conferma come sede diffusa di un progetto, non solo culturale, di completa riqualificazione del territorio; un progetto che ha nella creatività e nella qualità delle proposte i suoi punti di riferimento più significativi. Archeologia, pittura, fotografia, scultura, musica, teatro e cinema hanno segnato positivamente la passata stagione e tante novità attendono cittadini e ospiti anche per i prossimi mesi. Ringrazio il Sindaco, i miei collaboratori, Massimo Ielasi che ha curato l’allestimento con Salvatore Basile e Bruno Macrì e naturalmente l’autore Gino Di Meglio per questi scatti inediti e sorprendenti, presentati per la prima volta in pubblico a Villa Gingerò, in cui la dialettica contenuta in questi due estremi cromatici saprà restituire ai visitatori della mostra i segni e il respiro del suo e del nostro mondo interiore».
“Gino Di Meglio. Nel bianco nel nero” è una mostra a cura di Massimo Ielasi, realizzata dal Comune di Lacco Ameno in collaborazione con il Circolo Georges Sadoul di Ischia.
L’ingresso alla Mostra è gratuito.
Info e orari: www.pithecusae.itoppure chiamare 081996103
Note biografiche
Avvocato, si interessa di fotografia dal 1973; ben presto attrezza in casa il suo laboratorio di sviluppo e stampa, e la fotografia diventa la sua grande passione. Oltre che con quella tradizionale (con negativo e stampa su carta argentica), la sua ansia di sperimentare lo conduce a cimentarsi con tecniche alternative di stampa (la gomma bicromatata, la cianotipia, la chimigrafia, il ‘lumenprint’, la stampa ‘lith’ su carta alla gelatina d’argento). Nel 2000 riceve una menzione speciale dal presidente della giuria (Reza Khatir) del concorso fotografico internazionale di fotografia di Locarno; un’altra arriva in occasione della V manifestazione del ‘Premio Paolo Buchner – Un’isola da salvare’.
Una sua stampa, successivamente esposta nel 2017 a Torino, diventa la copertina di un numero della Rivista ‘Classic Camera’ del 2016. Un catalogo delle sue opere è stato redatto dal comune di Montechiarugolo nel 2015, in occasione di una sua mostra presso il locale castello civico. Dal 2014 è socio del Gruppo Rodolfo Namias, uno dei più prestigiosi circoli fotografici italiani che si occupa di antiche tecniche fotografiche.
Esposizioni:
1980 Comune di Forio: Le giornate dell’arte
1981 Kiwi jam Ischia
1984 Premio Paolo Buchner: Un’isola da salvare
1984 Castello Aragonese di Ischia
1998 Spoleto
2000 Castello Aragonese di Ischia
2000 Concorso fotografico di Locarno
2010 Galleria Ielasi di Ischia
2013 Ischia: Casa Lezza
2014 Torino: Photissima 2014
2015 Montreal: galleria Yellow fish art
2015 Parma: Castello civico di Montechiarugolo
2015 Carcere Borbonico – Castello Aragonese di Ischia
2017 Torino: Museo del Cinema della Mole Antonelliana
2017 Sestri Levante: Galleria Rizzi
2017 Forio d’Ischia: Giardini Ravino
2017 Rovereto e Trento: MART
2017 Castello Aragonese di Ischia
2018 Forio d’Ischia: Giardini Ravino
2019 Arezzo: Museo Archeologico
2022 Carcere Borbonico – Castello Aragonese di Ischia
Contributi:
Elegia in bianco e nero
Petali accartocciati che potrebbero sfaldarsi al tocco più leggero; foglie che si avvitano turgide intorno a cespi filamentosi; gambi sottili, tesi nell’ultimo sforzo, prima di cedere sotto il peso delle corolle. E’ un universo in equilibrio sbilenco quello che sostiene l’immagine, un universo percorso da forze contrapposte che agiscono esasperando il soffio vitale in forme che non vorrebbero concludersi, o che, al contrario, inaridiscono la linfa che innerva i profili, cristallizzando le membrane cerose e umide in cartilagini di cui già s’intuisce il destino di polvere. I vuoti si contraggono nella morsa dei fiori ripiegati; si distendono lungo la curva appena percettibile di uno stelo, pronto a sospingere e a disperdere i pulviscoli aghiformi che trattiene in cima; si incuneano nel movimento a spirale delle calle. Il fondo nero è un cielo verticale, a piombo, talmente profondo e lontano da porsi nella sua assolutezza come negazione dello spazio. Non è oscurità che germina forme e le divora; non allude, come in prima istanza potrebbe sembrare, al buio palpitante di certe nature morte della tradizione pittorica, ma è un campo astratto, a sostegno della figurazione, e ne esalta l’architettura compositiva. L’occhio dell’artista indugia sulle superfici setose, evidenzia il disegno delle nervature, insiste sul disvelamento della struttura che sottende la materia persino nel più minuto dettaglio. Così anche ciò che è, in apparenza, impalpabile ed evanescente, sembra avere una sua geometria assertiva, senza che per questo si rinunci alla vaghezza, alla poesia.
La sequenza delle immagini fa pensare, nel suo insieme, al tema della “vanitas” che è intrinseco al soggetto della natura morta; l’accuratezza matematica nella definizione dei particolari rimanda a suggestioni fiamminghe, e basterebbe l’esempio di una cipolla sospesa nel vuoto, che fiorisce in filamenti cisposi, per richiamare alla memoria le inquiete invenzioni di cui Bosch dissemina i suoi giardini di delizie. Ma Gino Di Meglio declina i rimandi e le ispirazioni in una personale e originale ricerca, dove la tecnica diventa espressione, rifuggendo da ogni monito etico che non sia l’adesione incondizionata alla bellezza. Così accade che l’esperienza dell’artista coincide con quella dell’alchimista, che usa acidi e combina elementi per frenare il tempo, pervenendo a virtuosismi di rara potenza evocativa, giacché l’osservatore, di fronte alle opere, non sa se quel che vede è l’ombra della morte in forme che manifestano il pieno vigore della vita, o quel che resta del palpito vitale in muti lacerti inanimati esposti all’obiettivo.
Salvatore Ronga
Autore e regista
Fotografia come preghiera laica
Le fotografie di Gino di Meglio sono dei mondi da esplorare, c’è una preziosità stilistica che sorprende l’occhio e lo obbliga ad interrogarsi sulla natura profonda del reale. Le scale di grigio delle sue foto sono onde emotive da cui lasciarsi cullare, la ricchezza dei dettagli è un mondo in cui perdersi. Il nostro sguardo resta imprigionato nell’eleganza, nella sensualità delle sue gomme bicromatate, tra le più belle che abbia mai visto.
Il suo lavoro non ricorda le melense ricerche dei pittorialisti italiani, come un occhio superficiale potrebbe supporre, ma si ricollega ad una delle tradizioni più fervide che ha attraversato la storia della fotografia.
Alla fine degli anni ‘30 in America nacque un gruppo di fotografi che volle chiamarsi “f:64”, riferendosi al diaframma che utilizzavano nella ripresa per ottenere la massima nitidezza. I principali esponenti furono Ansel Adams e Edward Weston, il loro principale scopo fu quello di raccontare con la fotografia la bellezza dei paesaggi, degli oggetti e dei soggetti che riprendevano. Furono, a mio parere, come dei sacerdoti che codificarono una metodologia di ripresa, sviluppo a stampa che costituisce anche oggi un rituale a cui attenersi per ottenere la massima scala tonale ed i dettagli più fini. Questa, lungi dall’essere una sterile ricerca tecnica, era una metodologia per dimostrare la propria devozione verso i soggetti che erano all’interno dell’inquadratura. Sono convinto che queste immagini possono essere interpretate come delle preghiere laiche, un modo per esprimere il proprio sentimento di gratitudine verso il Creato. Ansel Adams fotografò il paesaggio americano perché voleva preservarne la bellezza e, per ottenere questo scopo, sviluppò una sapienza tecnica di altissimo livello inventando il metodo zonale: voleva realizzare foto così belle che poi nessuno avrebbe osato distruggere quel paesaggio, sentiva il dovere di registrare ogni sfumatura, ogni dettaglio di quel mondo che tanto amava. Era, a mio parere, una vera e propria esperienza mistica, che cercava attraverso la fotografia un contatto con Dio. Edward Weston cercò la poesia delle forme con le sue immagini delle dune, delle rocce. La sua foto al corpo nudo di Tina Modotti è una vera propria ode alla bellezza della donna ed una dichiarazione d’amore alla sua amata, intensa, vera, necessaria.
Credo che Gino sia un seguace di questa religione, vive anche lui l’ossessione per la ricerca del bello che ha dominato la vita di Ansel Adams ed Edward Weston. Nelle sue foto riviviamo il senso profondo di questa ricerca che tanto ha influenzato la storia della fotografia. Gino è un avvocato di successo e conosce bene la meschinità e la mediocrità che la quotidianità ci regala, ma ad essa non si è arreso. E’ un uomo concreto sicuro di sé, ma ha conservato l’innocenza, l’ingenuità e la capacità di lasciarsi sorprendere. Vive ad Ischia e sono sicuro che da bambino debba aver vissuto lo stupore per la forza dei tramonti, per la potenza del mare in tempesta, debba essersi immerso nel fascino di una delle isole più belle del Mediterraneo. Ritengo che abbia interiorizzato tutta questa bellezza e l’abbia preservata dalle brutture della vita ed oggi ha deciso di viverla in tutta la sua pienezza. Credo che il presente lavoro sia solo una prima tappa, credo che ci sia una potenza emotiva ancora tutta da esprimere. Nei fiori intravedo la potenza erotica di Mapplethorpe, nei paesaggi una ricerca di infinito appena iniziata, nelle rocce un interrogare la terra inquieta in cui vive. E’ difficile sottrarsi dal paragonare la forza espressiva di Gino, ancora non del tutto esplorata, alla potenza dei fenomeni vulcanici di Ischia. Noi siamo figli della terra in cui viviamo, da essa prendiamo il corpo e la forza dello spirito. Le fonti di energia vitale a cui attinge Gino sono potenti e possono ancora raccontare storie dense emozioni. Ascoltiamo queste preghiere con gli occhi dell’anima che sa riconoscere i segni del bello ed abbandoniamoci alla razionale, calcolata follia di Gino ed alla sua ossessione di perfezione, in essa troveremo la nostra follia ed il nostro non arrenderci al brutto che la vita ci consegna ogni giorno.
Luca Sorbo
Docente di Storia della Fotografia
presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli