ADDIO A FRANCESCO ANTONIO PIRO, MEMORIA STORICA DELL’ARRIVO DELL’ACQUA AD ISCHIA

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Massimo Coppa
EVI spa

Alla bella età di 91 anni ci ha lasciato Francesco Antonio Piro, memoria storica dell’arrivo dell’acqua potabile sull’isola d’Ischia.
Oggi sembra incredibile, ma fino a poco più di sessant’anni fa su quest’isola non esisteva l’acqua corrente: ci si doveva arrangiare con le cisterne di acqua piovana, atteso che molte acque termali non possono essere bevute e che le fonti sorgive erano del tutto insufficienti a soddisfare una domanda in rapida crescita per l’aumento della popolazione e per la nascita dell’era turistica.
Era il “tempo dell’acqua rara”, come lo storico francese Daniel Roche ebbe a definire l’epoca antecedente alla nascita dei moderni servizi di acquedotto.
È storia recente, si potrebbe dire contemporanea; eppure come ci sembra lontana ed inverosimile, tanto siamo ormai abituati ad un gesto apparentemente banale: quello di girare la manopola di un rubinetto e vederne uscire acqua! E per consentire questo gesto c’è tutto un apparato di uomini e mezzi che lavora quotidianamente.
Come riporta il prof. Raffaele Castagna in uno dei suoi aurei lavori (“Ischia 1950-1999”) “la deliberazione per la costruzione dell’acquedotto fu presa il 15 marzo 1951 dal Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno. La soluzione prescelta, l’acquedotto sottomarino, poneva allo studio problemi complessi e nuovi”, che richiesero due anni di studi e progettazioni. Il primo progetto era datato 30 giugno 1953; il progetto esecutivo, migliorato e più performante, era del 21 aprile 1956.
L’EVI di quei tempi, l’“Ente Valorizzazione Isola d’Ischia”, fu la cabina di regia che unì e raccordò le volontà dei sei Comuni isolani con quelle del governo e della Cassa per il Mezzogiorno, che materialmente stanziò i fondi e procedette ai lavori.
La costruzione delle condotte idriche sottomarine fu un evento eccezionale, per quegli anni, ed assolutamente all’avanguardia: da nessuna parte nel mondo e mai, nella storia, era stata realizzata un’opera idraulica che si estendesse, sotto il mare, per una distanza così lunga dalla terraferma. La novità era talmente rivoluzionaria che vennero tecnici da tutta Europa per studiare le soluzioni avveniristiche messe in campo dall’ingegno italiano.
Fu bandita una gara d’appalto europea per individuare l’azienda che avrebbe proceduto alla costruzione e posa dei cavi, e vinse un colosso italiano: le acciaierie Dalmine.
E qui entra in gioco Francesco Antonio Piro. Egli era allora un dipendente della Dalmine, da cui successivamente transitò alla Cassa per il Mezzogiorno (la quale si occupò anche di realizzare la rete idrica interna sull’isola d’Ischia). Piro era un operaio esperto nella realizzazione di rivestimenti di catrame alle condotte e super-rivestimenti di vetro tessile e cemento: un operaio ad alta specializzazione, come si comprende, per le tecnologie più avanzate di quei tempi.
Fu lui ad effettuare un gesto altamente simbolico: l’apertura della saracinesca da cui, ad Ischia Ponte, zampillò il primo getto d’acqua ufficiale arrivato sull’isola dalla terraferma, attraverso le condotte sottomarine nuove di zecca.
Secondo le cronache ufficiali, l’evento avvenne il 9 novembre 1958. Ma Piro è sempre stato categorico: ricordava benissimo che era estate: “L’emozione e l’entusiasmo erano alle stelle. La gente affollava il Piazzale delle Alghe ed il Piazzale Aragonese, ed era stupefatta dalla novità; noi eravamo soddisfatti per il completamento del lavoro e le autorità erano altrettanto contente. Insomma, sembrava davvero un momento storico; ed in effetti lo era”.
Probabilmente il 9 novembre 1958 fu fatta una seconda inaugurazione: quando l’acqua arrivò al porto d’Ischia, e questa seconda data è passata alla storia come la più importante.
Quel giorno d’estate fece entrare Ischia nella modernità ed erano presenti all’evento il ministro per il Mezzogiorno, Pastore, il progettista e direttore generale dei lavori, ing. Messina, con il direttore dei lavori, ing. Pescione; e naturalmente c’erano il sindaco di Ischia (il leggendario Vincenzo Telese) ed il vescovo Antonio Cece, che dettò un testo in latino sulla lapide commemorativa, posta sul casotto di pietra scura in lava del Vesuvio che contiene ancora oggi il punto di recapito delle condotte, accanto al bar “Cocò”. Mons. Cece volle dunque scrivere in latino quanto segue (traduzione tratta dal libro del prof. Castagna, citato sopra): “Con una condotta sottomarina, ora per la prima volta, testimonianza della premura dello Stato, grande elargitore di benefici, idea dell’eterno ingegno della romulea stirpe, all’acqua sgorgante da lontani monti la via aprì perché scaturisse pura e gradita a gloria di Dio creatore per quanti da ogni parte qui nella verde sempre assolata Aenaria vengono per la loro salute. Anno 1958”.
Migliaia di uomini parteciparono alla realizzazione di quell’opera colossale, che realizzò il miracolo dell’acqua potabile per Procida ed Ischia.
Le condotte furono deposte sul fondo del mare partendo da Miliscola ed arrivando a Procida; sul nostro versante, invece, vennero collocate partendo da Ischia Ponte ed arrivando a Vivara, completando così il collegamento (Procida e Vivara furono unite allora dal ponte, costruito apposta per dare un sostegno alle condotte).
I tubi erano da 300 millimetri di diametro ed 8 millimetri di spessore, in acciaio, composti da pezzi lunghi sei metri, trasportati e depositati nel Piazzale delle Alghe, chiuso ed adibito a deposito provvisorio. I pezzi erano saldati in genere in gruppi di sei, così da formare una trancia da 36 metri di lunghezza, e venivano calati in acqua a partire dallo scivolo situato lungo il Pontile Aragonese (oggi i bagnanti si stendono a prendervi il sole, ma pochi sanno che quella è la camicia di cemento che protegge la traccia delle condotte, puntate verso Vivara).
Una draga, situata su di un pontone galleggiante, scavava un solco nel fondale marino per ricavare l’alloggio delle condotte; a Vivara un argano gigantesco, grosso come un palazzo, tirava le trance di tubi assemblate. Francesco Antonio Piro lavorava a terra, insieme ad altri dodici operai, per rivestire i tubi nudi. Per il tratto Ischia-Vivara lavoravano mediamente 60-70 operai, con specialisti giunti dal Nord Italia.
Le saldature dei tubi durarono due anni, mentre il varo a mare richiese appena una settimana.
Con una procedura applicata per la prima volta nella storia della tecnologia, dopo ogni saldatura venivano effettuati esami ad ultrasuoni e radiografici per sincerarsi della perfetta tenuta dell’assemblaggio.
Piro così ricordava quel lavoro: “Fu un’esperienza faticosa, ma indimenticabile, insolita ed esaltante. L’opera venne realizzata con un dispiegamento di uomini e mezzi che non si era mai visto prima. Per me era motivo di orgoglio mettere a disposizione le mie capacità professionali, e devo dire che quello fu il momento più interessante di tutta la mia vita lavorativa, anche se negli anni successivi ho partecipato alla costruzione della rete idrica isolana e dei serbatoi”.
E mentre diceva questo, il suo volto si velava di una sorta di dolce malinconia.