A 100 anni dalla nascita di Giorgio Buchner, archeologo tedesco che portò alla luce due antichissimi reperti quali la Coppa di Nestore e il Cratere del naufragio, Luigi Spina pubblica un libro come omaggio al grande archeologo firmandolo insieme con Giovanni Fiorentino, Costanza Gialanella e Davide Vargas. «Le immagini ad alta definizione ottica implicano necessariamente un’alta partecipazione dello sguardo, e della mente dello spettatore» – scrive Giovanni Fiorentino. «Il tempo dell’archeologo, il tempo delle cose, vengono riassemblati dal tempo nuovo del fotografo che restituisce al presente». Da un lato l’architetto di professione Buchner, dall’altro l’architetto dello sguardo, Spina. Nato nel 1914 a Monaco di Baviera da padre tedesco e madre Veneta, Buchner approda a Ischia con la sua famiglia per sfuggire al regime nazista. É qui che inizia a coltivare la sua passione per l’archeologia, desideroso di conoscere la storia dell’isola di cui, allora, si sapeva poco. Dopo la laurea in paleontologia a Roma, nel 1947 entra come salariato temporaneo alla sovrintendenza alle antichità all’epoca sotto la guida di Amedeo Maiuri, ne rimarrà fino al 1979 con la nomina di soprintendente aggiunto, per poi divenire conservatore onorario dell’isola d’Ischia. Costanza Gialanella, funzionario della Soprintendenza dei Beni Archeologici di Napoli, che ha condiviso con lui l’avventura dello scavo della necropoli di Pithecusae (da cui provengono coppa di Nestore e cratere del naufragio) e quello del progetto scientifico del museo archeologico di Villa Arbusto di Lacco Ameno (17 aprile 1999), rievoca nel libro alcuni aspetti dello studioso tedesco scomparso nel febbraio del 2005: timido e rigoroso, mite e schivo, “meticoloso scavatore” nonché profondo conoscitore non solo di archeologia ma anche filologia, geologia e naturalistica. Il libro si intitola “The Buchner boxes” perché è in piccole scatole di cartone di varie dimensioni, a loro volta racchiuse in cassette di legno (40x45cm) rimaste celate nei depositi per 20 anni che Buchner era solito conservare reperti che narrano la storia delle antiche genti di Ischia. Denti umani, pezzi di mandibola, brocche, coppe, unguentari, fibule, armille, lucerne. Si tratta di frammenti di vita passata avvolta in vecchi fogli di giornali italiani, inglesi e tedeschi degli anni ’60 e ’70 o custoditi in scatolette di fiammiferi e sigarette. Era lì che schedava i materiali di scavo del sito di Pithecusae, primo insediamento stanziale dei greci in Occidente che, nel volume corredato dalle straordinarie foto in bianco e nerodi Luigi Spina, assurgono a testimonianza del nostro passato rendendolo di nuovo vivibile e attraversabile.