Il tema dell’usura oggettiva nei contratti di mutuo è di forte attualità. Il ricorso massiccio al credito degli ultimi anni, unito alla depressione economica attuale, ha richiamato l’attenzione dei giuristi sulla liceità delle operazioni di finanziamento bancario. In particolare nell’ambito dei contratti di mutuo la sentenza n. 350/2013 emessa dalla Corte di Cassazione – I Sez. Civ – ha dato la stura a molte azioni giudiziarie e alle conclusioni più disparate da parte delle Autorità giudiziarie adite. La sentenza del Tribunale di Udine – II Sez. Civ. – del 26.09.2014 cerca di rendere chiarezza in materia, ripercorrendo l’evoluzione normativa e giurisprudenziale dell’istituto dell’usura oggettiva ed, in particolare degli interessi usurai, partendo dalla sentenza n. 350/2013 della Cassazione. Il provvedimento richiamato, infatti, prevede che tutte le remunerazioni richieste al cliente dalla banca, a qualsiasi titolo, vanno considerate ai fini del calcolo del tasso d’interesse, dunque anche gli interessi di mora. La l. 108/1996, infatti, dispone: “per la determinazione del tasso d’interesse usuraio si tiene conto delle commissioni, delle remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito” (art. 1, comma 1). La l. 24/2001 (di conversione del d.l. n. 394/2000), in quanto legge d’interpretazione autentica della l. 108/1996, ribadisce: “ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. (delitto di usura) e dell’art. 1815, comma 2 c.c. (interessi usurai) s’intendono usurai gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”. Dopo una dettagliata cronistoria delle principali decisioni del Giudice di legittimità (sentenze n. 5286/2000, n. 14899/2000, n. 5324/2003, n. 602 e 603/2013) che precedono la più nota sentenza n. 350/2013, ma già improntate ad affermare il principio della concorrenza degli interessi moratori alla determinazione del T.E.G. (tasso effettivo globale) di un contratto di mutuo, e dopo il richiamo alla sentenza n. 29 del 25.02.2002 della Corte Costituzionale, che ha chiarito che il riferimento agli interessi a qualunque titolo convenuti – contenuto nel D.L. n. 394 del 2000 (Interpretazione autentica della legge 7 marzo 1996, n. 108, recante disposizioni in materia di usura), e precisamente dell’art. 1, comma 1 – rende plausibile l’assunto secondo cui “il tasso soglia riguarda anche gli interessi moratori”, la sentenza del Giudice udinese entra nel vivo delle questioni più dibattute: il calcolo del tasso effettivo globale di un mutuo ed il superamento della soglia d’usura oggettiva stabilito dalla legge (108/1996). Innanzitutto si chiarisce che il Tasso Effettivo Globale (T.E.G.) annuo rappresenta un indicatore sintetico e convenzionale di costo con il quale si esprime, in misura percentuale, il costo totale di un Finanziamento e risponde all’esigenza, sorta in ambito comunitario, di tutelare la Trasparenza nelle operazioni di Finanziamento, in particolar modo per le Operazioni di Credito al Consumo (Consiglio 87/102/CEE e 90/88/CEE, D.M. 7.8.1992). In particolare, l’indicatore sintetico di costo T.E.G. esprime, in forma percentuale, l’effettiva portata economica delle condizioni o, meglio, delle obbligazioni contrattuali del Finanziamento, consentendo al Cliente una valutazione completa dello stesso ed un agevole confronto con gli altri Finanziamenti proposti sul Mercato, senza limitare la valutazione dei prodotti offerti sul Mercato ad una singola voce di costo (es. T.A.N. tasso nominativo annuo degli interessi corrispettivi). Successivamente si precisa che il tasso soglia è stabilito in funzione della natura e tipologia del credito (mutuo, leasing, apertura di credito, ecc.) e non della natura del tasso praticato (corrispettivo, moratorio, ecc.) ed è strutturato sulla fisiologia, non sulla patologia del rapporto. Per questo, visto che la mora attiene ad una fase eventuale e critica del finanziamento, la Banca d’Italia non deve rilevare anche il tasso medio di mora praticato dal mercato nelle sue periodiche rilevazioni. Contrariamente la mora assurgerebbe ad una specifica categoria del credito, oltre a determinare una soglia specifica più alta rispetto all’ordinario costo del credito, innalzando il limite della soglia d’usura col crescere del rischio e vanificando le tutele per il consumatore introdotte dal legislatore del 1996. Tuttavia le previsioni contrattuali in tema di mora devono comunque essere incluse nella verific empirica del rispetto dei limiti dell soglia d’usura. Obiettivo della legge è, infatti, la fissazione di un’unica soglia delle remunerazioni del credito a qualunque titolo convenute, e dunque valutando insieme tutti gli interessi pattuiti, sia corrispettivi che compensativi o moratori, come si legge nella “Relazione Governativa di Accompagnamento” al D.L. 394/2000. “In sostanza il sistema della legge l. 108/1996 non disconosce le diverse funzioni degli interessi di mora e degli interessi corrispettivi, nè ha inteso precludere la pattuizione di una penale nel caso di mancato pagamento. Vuole invece porre un limite, massimo e perentorio, entro il quale ricomprendere tutti i costi del credito, relativi ad ogni criticità e/o patologia presente o futura. Ogni pattuizione eccedente è considerata usura, ed in ciò si qualifica il presidio imperativo”. Fissato il principio guida bisogna, però, escludere che per la verifica del tasso effettivo con il limite della soglia d’usura si debba procedere a sommare l’interesse corrispettivo all’interesse di mora. Ttale tesi, ampiamente sostenuta da tanti operatori improvvisati che non tengono conto che i due tassi si succedono, ma non si sommano, è pacificamente respinta dai Giudici di merito, sia in ambito civile (Tribunale di Brescia del 16.01.2014, Tribunale di Milano del 28.01.2014, Tribunale di Trani del 25.01.2014, Tribunale di Treviso del 14.04.2014, Tribunale di Napoli del 08.04.2014, Tribunale di Verona del 30.04.2014), che in ambito penale (Gip presso il Tribunale di Torino del 10.06.2014). La verifica dell’usura, infatti, va condotta determinando il T.E.G. annuo concretamente pattuito, non i singoli tassi indicati in contratto, ma il costo del credito erogato “sia nello scenario del pieno rispetto del piano di ammortamento convenuto, sia in ogni possibile scenario nel quale, a seguito dell’inadempimento ad una o più scadenze, con l’applicazione del maggior interesse di mora ed a fronte del mutamento che avviene nel piano di rimborso, si modifica conseguentemente il tasso effettivo del credito erogato”. Il tasso di mora non è in sè rilevante ai fini del raffronto con la soglia d’usura, ma è integra il tasso corrispettivo e concorre, assieme ad ogni altro costo, spesa e remunerazione, a determinare il costo effettivo del credito ai fini della verifica del superamento della soglia d’usura.